Introduzione di Norma Santi
Nelle prime due settimane di marzo, la sociologa curda Dilar Dirik, ha tenuto diverse conferenze presso alcune università italiane sviluppando alcuni aspetti del movimento di liberazione curdo, con particolare attenzione al movimento delle donne curde ed alla jineologia, scienza o paradigma delle donne. In occasione di questo viaggio ho incontrato Dilar che, prima di partire, ha lasciato un suo contributo per Umanità Nova.
Dilar Dirik è ricercatrice al Dipartimento di Sociologia presso l’Università di Cambridge. Laureata in Storia e Scienze Politiche, seconda laurea in Filosofia, ha scritto una tesi in Studi Internazionali in cui ha confrontato il sistema dello stato-nazione e del confederalismo democratico, dal punto di vista della liberazione delle donne, con uno sguardo alle diverse linee politiche in tutto il Kurdistan e monitorando la rivoluzione in Rojava.
Traduzione in Italiano a cura di Irene Sirchia.
Quando parliamo di tentare di destabilizzare un sistema, cosa che sarebbe liberatoria per molte parti della società, è importante realizzare che, prima di ogni altra cosa, dobbiamo iniziare una rivoluzione mentale poiché possiamo constatare come il sistema educativo, la meccanicizzazione dei nostri pensieri e del loro flusso, siano strutturati per generare oppressione, patriarcato e diverse forme di violenza persino istituzionalizzate nella nostra mentalità.
Violenza e oppressione sono via via diventate naturali, interiorizzate e normalizzate nelle nostre menti, per questa ragione tutto questo ha avuto inizio. Possiamo constatare che oggi le istituzioni dominanti contribuiscono a perpetuare forme di oppressione come razzismo, sessismo e differenza di classe e non sono state concepite per consentire di analizzare criticamente ed invertire il meccanismo di oppressione, guerra, povertà, morte ed ingiustizia. In questo senso il movimento delle donne curde crede in particolar modo che si debba formulare un nuovo paradigma di lotta che non è solo orientato ad essere contro qualcosa, come ad esempio capitalismo e stato, ma anche a lavorare su costruire e per qualcosa. Qual è l’alternativa che costruiremo al posto dello stato, del capitalismo e così via?
In tal senso abbiamo bisogno di qualcosa che abbia lo stesso meccanismo della scienza, ma che sia contrario a come l’ attuale scienza sociale lavora. Deve fondamentalmente cambiare il modo in cui noi comprendiamo la società perché non possiamo usare la stessa epistemologia e le stesse categorizzazioni per costruire un mondo nuovo che ha bisogno di un processo creativo prima di tutto ed è difficile immaginarlo specialmente in paesi di tradizione capitalista. La sinistra fallisce nell’organizzazione perché c’è una mancanza di immaginazione di come potrebbe apparire un mondo nuovo. Prendiamo l’esempio del femminismo, che nell’Accademia è diventato così astratto, così centrato sulla destrutturazione che in realtà non fornisce alcun sostegno nella vita di molte donne della comunità perché persino il linguaggio è inaccessibile ed i concetti sono così astratti e teorici che in pratica non fanno molto per la giustizia sociale come invece faceva originariamente la lotta femminista. Come possiamo avere dunque un nuovo tipo di linguaggio e femminismo, che possa essere coinvolgente ed avere impatto sulla vita, ad esempio, di mia nonna, della mia vicina, della donna che muore di fame per strada o che ha dieci figli? L’Accademia purtroppo è concepita per tenere sotto controllo i pensieri di sinistra e radicali. L’idea di democrazia, ad esempio, è stata data in mano a poche persone che sono molto distaccate dalla società e dalla comunità. A tale proposito, con la Jineologia, noi vogliamo rendere visibile un nuovo approccio alla scienza, un nuovo paradigma su come la scienza sociale può funzionare, che può non solo capire la società ma analizzare veramente la complessità della società stessa ed i meccanismi che la rendono così com’è, piuttosto che concentrarsi solo sull’ interpretazione di classe o l’interpretazione di genere. Come possiamo davvero capire la società e soprattutto come possiamo costruire una nuova società? Ad esempio il femminismo tende a destrutturare il genere. Ma su quale modello? Quale potrebbe essere l’alternativa?
Questo analizzando i collegamenti non solo ontologici ma anche jineologici tra gerarchia e stato, democrazia, concetto di proprietà ed il collegamento tra potere e conoscenza e come questo impatta, soprattutto sulle donne, la natura, le comunità indigene ed i poveri. Il movimento delle donne curde ha iniziato ad approcciare in maniera diversa alla scienza con attenzione alla Jineologia. “JiN” in curdo vuol dire donna e la jineologia non è una nuova scienza ma piuttosto un nuovo paradigma di come noi pensiamo alla scienza, come lo facciamo, che metodo possiamo usare, quale può essere la metodologia in un sistema che usa questo stesso metodo per creare più ingiustizia. Come possiamo decolonizzare il sistema che utilizza l’attuale scienza sociale, come possiamo dare valore ad ogni fonte di conoscenza?
Perché oggi noi vediamo istituzioni come le università, edifici quadrati nei quali la conoscenza può essere venduta, quindi tu vai lì, paghi e ottieni la conoscenza, ottieni un lavoro e diventi parte del sistema capitalista. Ma noi pensiamo che un’idea di scienza e conoscenza che può essere venduta e acquistata sia la prima fonte di problemi. Cos’è la conoscenza, come possiamo considerare la conoscenza? Per il nostro attuale sistema è soltanto costituita da fatti che possono essere misurati, che possono essere articolati in numeri, lettere o formule quindi questa è la verità, questa è la realtà, perché posso misurarla, uno più uno fa due ma, in realtà, la vera conoscenza è fatta di saggezza. Faccio ancora l’esempio di mia nonna che vive in un villaggio in montagna ed altre persone che hanno trascorso la loro vita per secoli qui rendendola via via migliore. Le cose che lei vive e fa e pensa e sente sono anch’esse fonti di conoscenza ma a queste noi non diamo valore. Vediamo il folklore come qualcosa che semplicemente non è serio perché non contribuisce a questa idea lineare di come la storia dovrebbe funzionare. Ad esempio la storia delle nazioni è il risultato di una corrente di pensiero che crede che fondamentalmente la scienza debba essere un percorso lineare e lo stato, la nazione sia il culmine dell’evoluzione e fine di questo percorso, che lo stato sia il progresso, la civilizzazione, la fede e la più alta espressione del progresso umano. Questo è il frutto anche della divisione soggetto e oggetto, di un dualismo, secondo cui, l’uomo è soggetto e la natura è oggetto. L’uomo specialmente nell’era moderna, legittimato da pensatori come Francis Bacon e René Descartes, incrementa questo pensiero dicotomico per cui l’uomo e’ la mente, soggetto, e la donna e’ il corpo, l’oggetto; la mente è il soggetto, l’emozione è l’oggetto: lo stato è il soggetto e la comunità, la società sono l’oggetto. Questo genere di dicotomia che implica fondamentalmente una gerarchia, in pratica, legittima la dominazione e la schiavitù e naturalizza questi concetti facendo sì che, molti movimenti, incluso il Pkk, siano arrivati a pensare che lo stato significa libertà, che essere uno stato significa progredire, svilupparsi, significa la fine della nostra oppressione. Questa sorta di pensiero ha portato a convincerci che siamo oppressi perché non abbiamo uno stato, quando, in realtà, è lo stato il problema. Dunque quando sono stati uniti i concetti di comunità e stato, nazione e stato, libertà e stato, indipendenza e stato, è nato il primo problema della società. Possiamo dunque constatare come l’idea che abbiamo di storia e il modo di pensare il nostro lavoro sociale siano frutto di questo meccanismo di pensiero. Quindi il nostro approccio con il progetto di Jineologia è un nuovo modo di pensare, un esperimento, un nuovo metodo di discussione. Non crediamo di avere una nuova scienza rivoluzionaria, abbiamo solo un nuovo modo di interpretare la scienza, di dare valore alla conoscenza, di riarticolarla cercando di sovvertire il meccanismo gerarchico che le unisce al potere. Cosa possiamo fare in pratica. Ad esempio noi ascoltiamo tutti, promuoviamo ogni interazione tentando di avere un linguaggio accessibile che non significa un linguaggio povero perché non ragioniamo in termini di basso e alto, ma vogliamo che persone come mia nonna, che io amo molto, capiscano cosa diciamo e che vogliamo acquisire conoscenza ed imparare da queste persone. Quindi cerchiamo di sovvertire la gerarchia di chi sa qualcosa su chi non la sa, cerchiamo di rendere il flusso di conoscenza più organico ed orizzontale. Vogliamo dare valore ad ogni esperienza ed ad ogni voce, non in un’ottica di relativismo culturale per cui questa è un’opinione e questa è un’altra, ma ci basiamo sull’idea che alcuni principi non debbano essere messi in discussione come ad esempio la liberazione delle donne, ecologia e razzismo. La nostra scienza è dunque connessa anche al tipo di società che vorremmo creare. Noi non ci limitiamo a parlare, categorizzare o analizzare, questo infatti è il problema della scienza sociale attuale che si limita a spiegare, evidenziare un fenomeno, farci ciò che vuole , renderlo gradevole e venderlo o, meglio ancora, metterci sopra un brevetto. No, noi questo non lo vogliamo. Noi vogliamo venire fuori anche con delle alternative unendo tutte le nostre esperienze perché pensiamo che si debbano includere tutte le persone che sono state escluse dal produrre e riprodurre conoscenza perché la conoscenza è stata loro rubata e poi venduta e loro, in ogni caso, non hanno mai avuto accesso ad essa. Questo approccio più egalitario alla produzione, riproduzione ed allocazione della conoscenza e’ un principio fondamentale per una democrazia perché solo se ogni forma di conoscenza viene valorizzata per la sua unicità possiamo costruire una società basata su ogni individuo. Se l’esperienza, la vita di una persona indigena non è valorizzata allo stesso modo di quella di persone all’interno delle università non possiamo neppure avere un’idea di democrazia perché abbiamo già escluso dalle decisioni le persone che contano. Crediamo che ogni tipo di interazione tra esseri umani debba arrivare nell’Accademia perché vogliamo riappropriarci del mondo. Le accademie non dovrebbero essere luoghi fissi, accessibili solo a persone che hanno i soldi ed il privilegio per andarci. Noi crediamo che ogni giardino e parco, ogni angolo di strada, ogni stanza, ogni casa possano essere un luogo per auto-educarci, generare conoscenza ed utilizzarla per creare una nuova società.
Ci sono molte donne nel nord del Kurdistan, così come in Rojava. Stanno aumentando ed attirando molta attenzione che da’ alle donne nuova felicità ed energia. Ci sono ad esempio le donne che vogliono partecipare alle nuove strutture e alla ricostruzione del Rojava, alle case delle donne, alle comuni, ai consigli o altro, ma anche combattenti sia uomini che donne che ora vengono educati anche alla jineologia. Credo sia interessante sapere come le persone, che combattono contro il sistema del Daesh basato sul fondamentalismo che utilizza la violenza sessuale e lo stupro come motivo di propaganda, stiano articolando la libertà attraverso donne che riportano la scienza sociale. Essi vedono in questo il più grande strumento di autodifesa, non le armi che usano dunque bensì un metodo sociologico. In un area molto conservatrice come il medioriente, in un contesto di eserciti di stato e non, è fondamentale la questione della posizione politica, che tipo di pensiero e metodo si vuole proporre nella società che si vuole creare. Per questo anche gli uomini vengono educati alla jineologia da donne, ed il modo in cui è strutturata, l’educazione, è più una sorta di discussione, di dibattito. C’è generalmente una persona che facilita il processo, ma è una discussione perché è questa che dovrebbe essere il metodo principale e sostituire il metodo frontale di trasmissione della conoscenza. Il docente dovrebbe essere anche discente ed il discente può essere docente. Nell’Accademia sociale della Mesopotamia a Qamishlo in Rojava le persone non si rapportano tra loro come insegnanti e studenti, ma come amici o compagni, sempre. Questo è importante, a proposito della gerarchia di chi ha conoscenza e chi la riceve, perché è un processo orizzontale. Magari oggi io insegno una cosa perché la conosco e tu no. Ad esempio io non parlo italiano e posso impararlo da una persona che lo parla e questo non significa che io sia inferiore, ma che posso condividere cose con voi e voi potete condividere cose con me. Questo approccio è una questione di mentalità, di come si percepiscono gli altri, come uguali o meno, di come si possa usare o meno la propria conoscenza come strumento di potere o di abuso di potere. Altri strumenti che utilizziamo sono la critica e l’autocritica, alla fine di ogni lezione, elemento caratterizzante dello spirito della jineologia. L’insegnante viene criticato dicendo, ad esempio, che un fatto esposto non era molto calzante e se ne potrebbe utilizzare un altro. Questa critica non va intesa come qualcosa di negativo, ma di buono e necessario e va accettata non come motivo di abuso ma di collettività, come se ci vengano offerte soluzioni per migliorare. Non ci limitiamo a criticare la persona, ma le offriamo uno strumento per crescere. Facciamo anche autocritica, ed è difficile. Può sembrare semplice, ma criticare le proprie riflessioni è qualcosa che manca totalmente, specie nel sistema capitalista. Questi sono meccanismi di un sistema più democratico. Un altro strumento è il linguaggio. Ho partecipato, ad esempio, ad una lezione di ecologia all’accademia delle donne. Erano presenti donne giovani ed anziane, e qui si delinea la questione delle generazioni. Si parlava di come non si abbia coscienza dell’ecologia perché il popolo non ha possesso del luogo in cui vive, lo stato si impadronisce di tutto e le persone non si sentono parte di un ecosistema. Non si curano di una foresta perché lo stato dice che quella foresta appartiene allo stato e non appartiene al popolo. È perciò difficile parlare di ecologia in questo posto, ma trovo interessante come l’insegnante abbia chiesto cosa noi pensassimo fosse l’ecologia, cosa significasse per noi. Ognuno ha detto cosa pensava e questo ha generato un insieme di opinioni diverse ma con tratti comuni ed universali. Qui la questione delle generazioni diventa importante perché la società, specie capitalista, tende a scartare gli anziani, perché inabili al lavoro, ma ha anche, allo stesso tempo, una tendenza a sottovalutare le parole dei giovani. In entrambi i casi c’è una discriminazione ed è interessante notare come al potere ci siano persone appartenenti alla stessa fascia di età. E’ necessario democraticizzare l’età perché è naturale che ci siano anziani e giovani, chiunque è stato giovane e sarà vecchio. L’idea è quella di valorizzare l’esperienza degli anziani come una fonte di saggezza acquisita con il passare degli anni e valorizzare i giovani come persone che subiscono pressioni differenti ed hanno idee e prospettive differenti. Non si dovrebbe utilizzare l’età come strumento di potere. Democraticizzare l’età è dunque importantissimo. Noi tentiamo di integrare anche questo, nel nuovo approccio al processo educativo, per renderlo accessibile a tutti attraverso il linguaggio ed usando questa nuova relazione con la conoscenza quale fondamento della democrazia. L’obiettivo finale del progetto implementato in Rojava e Bakur è quello di creare una società critica che non abbia bisogno di affidarsi a legge, polizia o stato per rafforzare il concetto di giustizia, ma è essa stessa che genera concetti ed idee su come la giustizia dovrebbe funzionare, prendendo decisioni basate su valori e morale. Anche il concetto di morale ormai fa pensare a qualcosa di negativo perché collegato direttamente allo stato, alla chiesa o alla famiglia. La parola “morale” è diventata una parola sporca, ma anche lottare per la giustizia e l’uguaglianza e contro le discriminazioni sono questioni morali. Questo è l’aspetto etico. Altro aspetto importante è l’aspetto politico. L’intento è creare una società che non sottomette la sua volontà alle elites burocratiche. Andare ogni quattro o cinque anni alle elezioni pensando sono una persona democratica perché vado a votare, ho fatto il mio dovere, ho votato significa sottomettere completamente allo stato la mia volontà e tutto ciò che riguarda la mia vita e la mia interiorità. Questo conduce ad una società lontana dalla politica. L’unico modo in cui oggi le persone percepiscono la politica e quello di andare a votare, ma questa non è politica. La politica ha ben altro intento, ossia organizzare una società giusta e meravigliosa. Dunque unendo queste due cose, politica ed etica, possiamo avere una società nuova e rivoluzionaria. Noi non crediamo che la rivoluzione sia una rottura nella storia imposta da un partito o da uno stato poiché uno stato non può essere fonte di giustizia. La maggior parte delle forme di oppressione negli ultimi 5000 anni della civiltà moderna sono stati creati dal concetto di stato, molti meccanismi di sottomissione nascono con l’emergenza degli stati. Il primo stato come concetto fu in Mesopotamia, I Sumeri costruirono le ziqqurat, strutturate come una piramide molto gerarchica ed organizzata. In quel momento avvenne un enorme cambiamento, una transizione, una rottura storica; in quel momento sacerdoti uomini presero il monopolio della conoscenza si costituì il primo esercito, le donne furono cancellate dalla scena, in quel momento, la proprietà privata iniziò a distruggere la morale e l’etica del sistema. Possiamo vedere come patriarcato, stato e concetto di proprietà privata si alimentino a vicenda e chi possedeva la conoscenza ha giocato un ruolo fondamentale. È interessante notare come, contemporaneamente, 4300
anni fa, si sviluppava la prima parola che ha espresso il concetto di libertà, amargi. Perché questo concetto di amargi si è sviluppato proprio quando l’oppressione è diventato un sistema, un’ istituzione? Perché le persone bramano immensamente qualcosa ed il desiderio dell’essere umano di esprimersi in libertà è una meravigliosa lotta così antica e parte della natura umana ed ha molti diversi aspetti. Se guardiamo alla lotta delle persone in ogni parte del mondo, agli esempi che possiamo aver visto anche qui in Italia, questi sono connessi a ciò che sta accadendo in Kurdistan. La lotta ha tanti diversi aspetti, ma possiamo vedere che, andare contro lo status quo, il sistema attuale, sia la linea comune perché esso è fonte di povertà, distruzione e guerra che hanno sempre la medesima origine. Ocalan parla di due forme di civiltà, non riguardo la comunità, il linguaggio, eccetera, ma riguardo il sistema. Egli dice che con lo stato sumero la civiltà degli oppressori, quella dominante si è sviluppata, che più o meno è lo stesso concetto di capitalismo e patriarcato, basato su gerarchia, dominazione ed abuso di potere. Di contro, però, si è sviluppata una civiltà democratica fatta da donne, poveri, artisti, esclusi, indigeni, una civiltà naturale e comunitaria. Queste persone hanno sviluppato una civiltà alternativa rispetto alla corrente dominante. La corrente dominante si è stabilizzata ed universalizzata, ma allo stesso modo anche la resistenza è sempre esistita. Forse si espletava in maniera diversa ma è sempre esistita. Possiamo dunque dire che la jineologia è la vendetta della civiltà democratica contro la tendenza dominante. Questo può essere un modo di guardare alla storia, non in termini di questa o quella cultura, ma di quali siano i tratti che riguardano il patriarcato e le relazioni sociali sui quali possiamo lavorare. Credo che questo sia necessario per mobilizzare la lotta, per vedere nella propria lotta specchiarsi la lotta di qualcun altro. In tal senso riteniamo che nella produzione e riproduzione della conoscenza debbano giocare un ruolo fondamentale le donne per la creazione di una nuova società. Molte donne in Rojava dicono che la loro vera autodifesa è l’educazione, è la rivoluzione sociale, forse un intento comune è più efficace di un kalashnikov. Le persone devono difendersi anche fisicamente, ma il nostro concetto di autodifesa non è solo fisico, non è solo la pietra che puoi lanciare per sopravvivere fisicamente, specie in un territorio in cui per Daesh è normale violentare e stuprare, é autodifesa politica, l’educazione è autodifesa, avere una società etica che sa organizzarsi, perché fondamentalmente la libertà deriva dall’ auto-organizzazione. Il problema è che noi colleghiamo l’autodeterminazione al concetto di stato. Questo è il pensiero che dobbiamo assolutamente sovvertire, un ordine di idee che dobbiamo abbandonare, perché lo stato non può essere la soluzione per un problema di libertà che ha una società. Perché noi non abbiamo il problema di non avere uno stato, abbiamo un problema di libertà.
Posso dire che la jineologia ha dato molto alle donne in Kurdistan e anche oltre, ed il loro numero sta crescendo. Ho parlato con molte donne in giro per il mondo di questo argomento e loro danno interpretazioni diverse a metodologie, religioni, scienze a seconda di dove vivono, del loro contesto, della loro voce e la jineologia dà moltissimo valore a questo. Le donne hanno compreso che abbiamo bisogno di un approccio fondamentalmente diverso dal nostro modo di pensare e di sentire il diritto. Dobbiamo fare pratica e nella pratica che utilizziamo nel nostro sistema educativo e nel nostro approccio alla politica dobbiamo includere questo pensiero teoretico, ma anche il vissuto di ognuno ed il nostro concetto di democrazia perché l’autodifesa non sia solo fisica ma anche sociale e politica. E’ per questo che molte donne ora affermano che stiamo combattendo questa battaglia contro Daesh, ma che la nostra autodifesa è soprattutto politica, perchè è un dato di fatto che ora possiamo leggere e scrivere ed organizzarci sotto forma delle comuni o quant’altro e che chi, nella nostra stessa casa, non ci lasciava neppure uscire deve ora accettarci come uguali ed in grado di prendere decisioni. Questo è fondamentalmente il modo in cui possiamo immaginare e pensare un mondo nuovo.